c) la politica

“Abbiamo bisogno di un modo nuovo di concepire la politica, come servizio e non come puro potere….Di un modo nuovo di progettare la città, di gestire il territorio e le sue risorse naturali. Più rispetto, e meno sfruttamento…..Per una nuova società in Italia, da tutti invocata, ma troppo spesso personalmente non perseguita forse occorre davvero una inversione di tendenza. …Nuovi rapporti tre cittadini e Stato, tra istituzioni civili e politiche, tra Chiesa e società civile….Nuovi rapporti tra vicini di quartiere, o abitanti di città e villaggi fatti estranei gli uni agli altri da un esasperato individualismo che erige muri tra casa e casa, che costruisce porte blindate e inferriate escludenti….Nuovi rapporti tra la gente e i nuovi immigrati, spesso – troppo spesso – incoraggiati a guardarsi con vicendevole sospetto, al limite dell’odio o quanto meno del malcelato rancore”. (festa di S. Evasio ’95 cfr. Rivista Dioc. 5/95)
Nel suo primo incontro a Crea con gli Amministratori (continuando una iniziativa di Mons. Cavalla) su Cattolici e politica oggi partendo dalle conclusioni del Convegno ecclesiale di Palermo riassumeva il suo pensiero in una specie di pentalogo. A) politica come servizio al bene comune B) politica come esercizio concreto della carità. C) buona e corretta amministrazione. D) l’enfasi sulle regole non deve obnubilare i contenuti della politica. E) il momento elettorale: “si elegge il Parlamento, che è qualcosa di più di un capo del Governo; il Governo è importante, ma rappresenta il potere esecutivo. Il più delicato dei poteri, quello legislativo, non può essere appiattito su di esso”. (Riv. Dioc. 2/96)
Interessante quanto affermava in occasione dell’incontro con gli amministratori e i politici inserito all’interno delle iniziative della prima Visita Pastorale alla città di Casale M. ( 1/2/97): “Autonomia e collaborazione: ecco due parole che danno spessore al dialogo. E il Vescovo….sentendo tutto il peso e la responsabilità di una presenza di chiesa che se deve stare attenta e non immaginarsi come coincidente con la città (sarebbe un imperdonabile tentativo di sacralizzazione e di clericalizzazione) deve però anche evitare l’errore opposto di chiamarsi fuori e di sentirsi estranea alla città, che è di tutti….Chiesa e città hanno qualcosa da dirsi? Certo: il qualcosa è tutto ciò che si riferisce al bene di tutti. Si può tentare un elenco. Che la gente abbia case confortevoli e quartieri abitabili è sì una questione urbanistica ed economica: ma è anche una questione morale di cui una chiesa ‘amica della gente’ non può disinteressarsi. E così dicasi della sanità pubblica o della scuola ben funzionante; dei servizi socio-assistenziali per le categorie più deboli o degli spazi per vivere il tempo libero o le esperienze culturali. E così ancora non è indifferente per il nostro essere chiesa che la città sia ben amministrata e i cittadini vivano nell’ordine e nella tranquillità. Sul tema del bene comune dunque chiesa e città si incontrano e dialogano. ….E da questo dialogo,……deve nascere per la città la certezza di poter trovare nella chiesa un alleato leale e impegnato”. (cfr. Riv. Dioc. 1/97)
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