Africa 2007

Tutte le volte che si ritorna dall’Africa, s’insinua nello spirito una sorta di nostalgia.
La nostalgia, la chiamerò così - per una “ Chiesa di popolo”. Quella Chiesa che vorremmo essere anche noi e ci è così difficile!
Due sensazioni acutissime!
La prima fu durante l’ordinazione di tre nuovi giovani diaconi, per i quali l’amico vescovo di Kpalimè (Mons. Benoit) ha voluto che io stesso potessi presiedere la liturgia di ordinazione .
Una volta celebrato tutto il solenne rito e scambiato il segno di pace con me, con il loro vescovo e con tutti i sacerdoti presenti, i tre si sono rivolti all’assemblea che gremiva la grande e bella cattedrale.
È scoppiato l’applauso festoso, il canto ritmico e l’agitare dei bianchi fazzoletti come un tripudio di popolo.
Essi- i tre, Albert, Pascal e Fabrice, sono scesi in mezzo alla folla, danzando , come risucchiati dentro il loro popolo, la loro famiglia, la loro gente.
Ecco. Quelle madri, quei padri e quelle sorelle da cui si erano staccati per offrirsi a Cristo e alla Chiesa (essi usano ancora fare un passo avanti al momento di decidere per il celibato), quelle stesse madri e i padri e le sorelle e la loro gente se li vedevano restituiti: ancora tra di loro, ma con gli abiti nuovi, le dalmatiche del servizio diaconale.
Ho letto ciò come un grande simbolo gioioso di ciò che dice la lettera agli Ebrei: “Scelto di fra gli uomini e per gli uomini costituito” (cito a memoria).
Era veramente un popolo in festa quello che accoglieva i tre ragazzi, ordinati diaconi ( e presto preti).
Una festa di popolo è stata ancora (ed è la seconda forte emozione) la “Prima Messa”... in patria del nostro Don Georges, che ho avuto la gioia di ordinare prete nella nostra cattedrale il giugno scorso.
Mi viene in mentre adesso che un prete togolese sarà l’unico ordinato in questo anno del IX Centenario del nostro Duomo!
Uno solo. E togolese, ordinato a Casale, ma destinato alla sua diocesi di casa. Dove la gente il 5 agosto lo ha accolto festante.
Al di là della celebrazione festiva, mi resta ancora un ribadito ricordo di quella giornata: una Chiesa di popolo!
Nel grande spazio verde, sotto un provvidenziale tendone che ci difendeva quasi tutti dal sole e dalla pioggia che a tratti veniva a sollevare l’assemblea, ho visto consumarsi una liturgia che il popolo cristiano là radunato ha fatto intermante sua.
Molti i segni simbolici: le corali ben istruite accompagnate da improbabili orchestre di trombe e tamburi davano il ritmo ad un popolo che cantando e danzando diceva tutta la sua felicità.
Ma poi la processione offertoriale con ragazzi e giovani (bambini e signorine) che avanzavano a lento passo di marcia recando sul capo ogni prodotto di quella verde terra d’Africa.
E poi ancora la quête (questua), quando chiamati a scaglioni in base al giorno di nascita tutti portavano la loro offerta con cui ricostruire la loro Chiesa del villaggio.
(L’altra, costruita dai tedeschi all’inizio del secolo scorso è davvero piccola, povera e strecciata).
Così mi è venuto in mente che la scena dell’”l’obolo della vedova” di evangelica memoria, ancora si rinnova.
Un popolo povero, un popolo di poveri che viene avanti cantando e danzando per consegnare la sua offerta.
Essi offrono ciò che hanno con gioia e con festa, forse senza neppure sapere che sta scritto nella Parola: “Dio ama chi dona con gioia”.
Questa e molte altre cose mi tornano alla mente mentre rientro a casa, nella speranza di trovare anche qui - nella desolata landa di un nostro cristianesimo spesso formale e frigido – un poco almeno di quella fresca e festosa assemblea popolare.
In effetti noi abbiamo un poco smarrito il senso di una Chiesa fatta di popolo e di una liturgia vissuta del popolo.
Scriveva nel secolo scorso un grande autore francese (George Bernanos) che ho avuto l’occasione di citare altre volte “La mia parrocchia è divorata dalla noia, come tante altre parrocchie !La noia la divora sotto i nostri occhi e noi non possiamo farci nulla(..) E ciò è senza dubbio come la fermentazione di un cristianesimo decomposto”
La spaventosa citazione è dal celebre romanzo “Diario di un curato di campagna”.
Non vorrei fosse vera.
Ma la nostalgia che mi attanaglia tornando dall’Africa , con queste sue gioiose assemblee di popolo, somiglia un poco a queste sensazioni.
C’è un segreto per vincere la noia: la festa.
Scrive ancora il depresso curato di Bernanos, ricordando un detto del suo amico il curato di Torcy: “Guarda, voglio definirti un popolo cristiano, definendo il suo contrario. Il contrario di un popolo cristiano è un popolo triste: un popolo di vecchi”.
Sì, ho visto in Africa “un popolo cristiano” .
E ne porto l’acuta nostalgia.
+ Germano Zaccheo, Vescovo


La prima domenica di agosto del 2007, un gruppo di casalesi di varia estrazione si sono trovati a Kpalimè in Togo. Era una festa , quella che laggiù chiamano “Messa di primizia” e noi solitamente: “Prima Messa”.
Circondato da due vescovi, il nostro e il suo, e da molti sacerdoti, religiose e da una gran folla, celebrava Don Georges Akotià, rientrato in patria dopo l’ordinazione ricevuta nella nostra Cattedrale il 16 giugno scorso.
C’era un certo gruppo di casalesi con il vescovo, Mons Zaccheo; tra essi il Rettore del Seminario (Mons Mancinelli), un seminarista (il Gigi), una famiglia (i Demichelis di Villanova), un bel gruppo di moranesi, presenti là nel ricordo e nel rimpianto di Don Franco Cipriano con cui avevano organizzato un volontariato speciale: costruire una scuola proprio a Kpalimè, appoggiati ad un centro gestito dalle Suore Immacolatine di Alessandria.
C’era dunque una rappresentanza di Casale alla “Prima Messa” di Don Georges ed è stata una giornata memorabile.
Quando Don Georges tornerà a Casale per riprendere gli studi teologici e portarli a compimento, prima di rientrare nella sua diocesi togolese, porterà certo l’eco di quella festa che gli amici di Villanova e di San Germano, avevano un po’ anticipato a giugno.

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