“Pellegrini sulle orme di Bernadette” (Milano, 20 gennaio 2004)

La mia domanda per introdurre la riflessione è questa: c’è uno stile O.F.T.A.L.iano?
E do la risposta: sì c’è, specialmente quando riusciamo a ispirarci a Bernadette, questa piccola Santa, così semplice, così povera, così umile. E’ una specie di paradigma di come si vive la sofferenza, di come si aiuta la sofferenza, di come si confida nella Madonna, di come si ha nostalgia nel Cielo.
Bernadette è un personaggio che se lo leggiamo nella sua verità, nella sua autenticità non può non commuoverci.
Un giorno dice: “Non ho altro da fare, non sono buona a nulla, la mia sola arma è la preghiera, non posso fare altro che pregare e soffrire”
Se dovessimo fare delle percentuali gran parte di noi, gran parte della gente può dire così: “Non sono buon a nulla”, ma nessuno può dire: “Non so pregare”.
Un giorno vanno trovare questa suorina a Nevers e cercano di Bernadette; la suora dice: “Bernadette? Eccola qui!”. Tutto qua? E la risposta: “Proprio vero signorina: tutto qua”.
Tutto qua, una suorina fragile che dà di sé l’idea della semplicità, della povertà,
dell’umiltà.
Niente cose straordinarie: ciò che le è successo non l’ha fatto succedere lei, le è piovuto addosso.
Ciò che c’è di straordinario nella sua vita è tutta “colpa” di Maria. Lei era una delle più povere bambine di Lourdes, della famiglia più povera e forse più disprezzata.
E anche al Convento di Nevers l’espressione: “Sono buona a nulla”, non è
propriamente sua; gliela hanno messa in testa le varie Madri Generali, Provinciali, educatrici, che gliel’hanno ripetuta tante volte e anche davanti anche al Vescovo che era venuto a dare gli incarichi alle varie Suore: “Di lei si dice che è buona a nulla”.
E lei impara solo a pregare e a soffrire! Credo che lo stile di Bernadette debba essere ispiratore di un modo di andare a Lourdes che è il modo degli O.F.T.A.L.iani che hanno preso un come impegno: “Portare a Lourdes gli ammalati”.
Perché è questo lo specifico dell’O.F.T.A.L.! Trasportare a Lourdes, come dice l’espressione stessa della sigla che costituisce l’O.F.T.A.L..
Si tratta di portare a Lourdes degli ammalati, ma non solo portare, bensì accompagnare, fare con loro la strada, ma adoperarsi come Bernadette la cui vita in convento è trascorsa per la maggior parte in infermeria, un po’ per curare gli altri, un po’ per essere curata lei.
Questo legame profondo con i malati è la prima caratteristica della spiritualità oftaliana e sono contento che il Tino abbia detto e ribadito che i malati che dobbiamo portare a Lourdes sono soprattutto i malati veri, non, lasciatemi dire così, gli “pseudo-malati”.
Perché proprio i più malati hanno bisogno di sentirsi amati da Maria, da Bernadette, da voi, da noi.
Allora il primo ambiente con cui vorrei descrivervi la spiritualità di Bernadette come ispiratrice della spiritualità oftaliana è l’infermeria.
Per chi è stato a Nevers e ha potuto visitare la stanza ove quasi tutto è ancora conservato come ai tempi di Bernadette, non ha potuto non commuoversi quasi di più che davanti all’urna e al corpo intatto della piccola Santa.
Ciò che a Nevers colpisce è quella tenda bianca che copre quel letto bianco e quella poltrona ove anche nelle ultime ore, non potendo respirare a letto, la povera suora consumava la vita nella tubercolosi.
L’infermeria dunque, prima componente della spiritualità oftaliana. Voglio dire che da lì, ove Bernadette lei stessa malata cura i malati nasce una spiritualità del Pellegrinaggio mariano ove il malato è re.
Quali sono gli atteggiamenti da assumere nei confronti del malato? Prima di tutto il servizio, mettersi a loro disposizione. Qualche volta sono capricciosi, lo so bene anch’io, ma mettersi al servizio vuol dire non giudicare, ma dire: sono qui per questo, per servire questa donna, questo uomo, questo bambino, questo anziano.
Servire: questa parola è evangelica ma si può servire anche con un atteggiamento “servile”e invece no, bisogna servire con amore ove il malato ha più bisogno di amore che di servizio.
Ricordo sempre l’episodio del lebbroso che coinvolge Francesco d’Assisi; lo va a
cercare, lo rincorre, sa che non può accostare una persona sana e quindi fugge, ma il suo campanello fa da richiamo e Francesco lo cerca per fare che cosa? Per baciarlo.
Forse qualcuno, nella cultura del nostro tempo, potrebbe dire: “serve poco baciare un lebbroso, serve guarirlo, bisogna ricorrere alle medicine, ai medici, alle tecnologie”.
Sì è vero tutto, però se abbiamo provato ad essere malati per una volta, anche solo con un po’ di febbre ci accorgiamo che non è l’aspirina che ci serve, ma una persona che ci sta vicino, qualcuno da cui sentirsi amati.
Bernadette faceva così, non faceva miracoli, ma voleva bene alle sue suore e al momento della sua morte tendeva le braccia verso le sue suore che l’assistevano chiedendo aiuto. Quale aiuto? L’amore.
Servizio, amicizia e vorrei aggiungere un terzo atteggiamento nei confronti dei malati: il rispetto.
Sotto un certo aspetto rispettare il malato è quasi ancora più che amarlo: rispettarlo nella sua dignità, nella sua personalità, nelle sue paure, nelle sue ansie e forse anche nelle sue idiosincrasie. Rispettare: cosa che spesso manca terribilmente nella sanità pubblica, quando si dà facilmente del “tu” o del “nonnino” , quando si parla di malati come di numeri o di casi. Non c’è mai un caso, c’è una persona con tutta la sua dignità da rispettare.
Ecco questa la prima idea che volevo comunicarvi; nell’infermeria possiamo desumere per il nostro stile oftaliano, uno stile di rapporto ai malati ispirato al servizio, all’amore, al rispetto.
C’è un’altra realtà, un’altra immagine che Bernadette ci richiama: la Grotta.
Questo luogo benedetto che lei porta nel cuore; lei dice: “la Grotta era il mio cielo”.
E la porta nel cuore anche lontano, quando sa che a Lourdes non tornerà più né da viva, né da morta, però ha nel cuore una profonda nostalgia della Grotta perché quello è il luogo di un incontro misterioso e meraviglioso.
Forse potremo trovare delle testimonianze, ma non vorrei insistere nelle citazioni.
Mi pare che questa nostalgia di Bernadette della Grotta è un segno ulteriore della nostra spiritualità oftaliana; abbiamo tutti nostalgia della Grotta e sto notando accompagnando a Lourdes parecchi giovani che la nostalgia della Grotta sta prendendo anche loro; per distratti che appaiano e sconvolgenti che siano, a Lourdes hanno passato delle notti alla Grotta (cosa che io non ho fatto e che mi sono guardato bene dal fare, loro sì!); c’è una sorta di nostalgia di quel luogo e la ragione è presto detta perché chi davanti a quel posto non può immaginare questa piccola fanciulla inginocchiata con la corona in mano?
“Non posso trovare bella nessuna Madonna dopo aver visto l’originale”; le chiedevano infatti un giudizio sulle statue che via via si producevano per ricordare l’Immacolata e gli scultori si preoccupavano di farsi dire con precisione come erano le rose ai piedi, come era il vestito bianco, la fascia azzurra, il rosario tra le mani, come era il volto, facevano ogni sforzo e Lei: “Non posso trovare bella nessuna Madonna dopo aver visto l’originale”.
La Grotta dunque come nostalgia del Divino, come nostalgia del Mistero, di ciò che è oltre, di ciò che è aldilà.
Quando il 16 luglio,durante l’ultima Apparizione, nella festa della Madonna del Carmelo, della Madonna della bellezza, Bernadette è costretta a stare dalla parte opposta del Gave, (ove ora c’è la Basilica a Lei dedicata) perché una palizzata ordinata dal Sindaco chiude il luogo delle Apparizioni, sopra la palizzata si erge bellissima, come non mai, dirà Bernadette: “Non l’ho mai vista bella come quel giorno”, altro che nostalgia! Cosa comporta questo atteggiamento nostalgico nei confronti della Grotta? Dobbiamo stare attenti a non farne una questione sentimentale, dobbiamo stare attenti a capire che la Grotta è un simbolo del trascendente, è una finestra aperta sul Mistero e quindi l’atteggiamento di fondo quando andiamo alla Grotta non è il feticismo di andare a toccare la Grotta, ma è l’atto di fede in Dio che è la Roccia.
Fede, dunque come è stata per Bernadette la Sua Grotta e il Suo cielo. Da un atto di fede nasce anche la devozione; certo è bello quindi inginocchiarsi alla Grotta, allora è bello anche passare là sotto e toccare la roccia, attingere a quella fontana che zampilla nel cuore della Grotta, è bello accendere un cero ricordando le persone care.
Tutto ciò è bello, questo complesso di atti devozionali a patto che essi rispondano al problema della fede, se nascono da una fede e non da un vago sentimentalismo che talvolta rischia di cadere nella superstizione.
Fede e devozione si compenetrano in modo da creare una spiritualità lourdiana, una spiritualità con la quale dobbiamo fare il nostro Pellegrinaggio a Lourdes.
La Grotta (quest’anno siamo chiamati a riflettere sulla Grotta nella sua dimensione di roccia) è un richiamo a fare un balzo oltre il quotidiano, oltre la fatica di tutti i giorni per chi è malato e per chi è sano, per chi dedica la sua attività nell’assistenza e nell’amicizia verso i malati, fare un salto che è un salto della fede da dove nasce la devozione che fonda una spiritualità, la spiritualità di Lourdes.
C’ è un terzo luogo che vorrei evocare, rievocando la figura di Bernadette come ispiratrice dei nostri comportamenti lourdiani ed è il convento, il convento di Nevers ove si colloca la famosa infermeria di cui abbiamo parlato. Il convento è l’approdo di una vocazione.
La bambina è stata chiamata dalla Madonna a uscire dalla sua condizione per entrare in una condizione nuova; negli anni la ragazzina matura una vocazione: sarà stato l’influsso delle suore, sarà stata la sollecitazione di qualche sacerdote, sarà stata l’interiore chiamata, non sappiamo bene.
Sappiamo che l’approdo è il convento, è la totale dedicazione a Cristo, l’Amore totale a Lui fino alla consacrazione verginale.
Un pellegrinaggio che non approdi a questa vocazione ecclesiale, a questo capire quale è il tuo posto nella Chiesa è un pellegrinaggio vuoto, non dissimile a un viaggio turistico; pertanto così si potrebbe andare anche a Parigi; a Lourdes si va per immergersi secondo la propria vocazione nella vocazione alla Chiesa: la vocazione battesimale, cresimale, la vocazione cristiana che per Bernadette è stata il convento, per me è fare il Vescovo, per voi è essere padri e madri di famiglia, professori, docenti, insegnanti, lavoratori, imprenditori. Da Lourdes si torna con questo impegno che ha portato Bernadette a Nevers: fare la volontà di Dio.
Realizzare nella nostra vita la vocazione, compiere il progetto di Dio che a Lourdes ci viene rivelato come è stato rivelato alla bambina. Trovo che questo riferimento ecclesiologico sia molto importante perché il pellegrinaggio sia vissuto in modo autentico.
Troppe volte si va a Lourdes per pura spinta materialistica: è bello andare a Lourdes, ma è bello andarci nel pellegrinaggio ecclesiale, fatto di Chiesa.
Io ho delle controprove: ogni tanto trovo a Lourdes dei concittadini, dei diocesani che ci sono andati di passaggio mentre andavano in Spagna e ne vengono via delusi, ma si capisce. A Lourdes si va con la Chiesa e nella Chiesa.
Ecco perché un’Associazione come l’O.F.T.A.L. deve essere ecclesiale; deve educare tutti, adulti e giovani, alla vita di Chiesa, all’esperienza di Chiesa che è un’esperienza di comunione, di missione, di Mistero.
Bernadette, che termina la Sua esistenza come monaca a Nevers, traccia una strada a tutti noi: la strada della nostra vocazione, e la vocazione è per tutti nella Chiesa di tutti.
Quando andate a Lourdes e accompagnate gli ammalati con quell’amore che abbiamo detto e dopo esservi fermati alla Grotta con quella devozione che abbiamo detto,
ricordatevi della Chiesa di cui fate parte: il vostro pellegrinaggio, piccolo o grande che sia, è una Chiesa che cammina, che va e torna, che va ad attingere l’acqua che purifica, la luce che rischiara il cammino, per poter vivere la vostra, la nostra vocazione a casa, tutti i giorni, da un anno con l’altro.
Se il Pellegrinaggio non rifluisce nella vocazione vissuta è un pellegrinaggio un po’ fallito, anche se ci siamo tirati su le maniche e abbiamo fatto tanti servizi.
Bernadette ci insegna questo: da Lourdes a Nevers il suo cammino vocazionale, da Lourdes a casa il nostro.
C’è una quarta immagine di cui vorrei servirmi per tracciare la spiritualità oftaliana alla luce di Bernadette, ed è: Quella là, Aquerò.
La ragazzina parla in dialetto e la Madonna le parla in dialetto; i sapientoni si scandalizzavano di questo al che Bernadette rispondeva: “Cosa pensate, che la Madonna non sappia anche il dialetto?”.
In dialetto lei dice: Quella là, cioè Aquerò perché non può dire altro, perché sono gli altri che le dicono: “Tu vedi la Madonna” e lei risponde: “Io non dico che vedo la Madonna, io vedo Quella là, quella bella Signora vestita di bianco con la fascia azzurra, la rosa d’oro ai piedi, di più non posso dire, perché io continuo a chiederle il nome mai Lei continua a sorridere.”
Noi sappiamo che Quella là è l’Immacolata Concezione, lo sappiamo dopo il 25 marzo e lo sappiamo dopo ciò che è avvenuto 4 anni prima, la proclamazione del dogma di cui in questo 2004 celebriamo il 150° anniversario.
Quella là è l’Immacolata Concezione, cioè quella che è stata concepita senza peccato.
Allora il riferimento di Bernadette a Quella là, è un riferimento mariano.
Direi che a questo punto per la nostra spiritualità Maria, e non più Bernadette, diventa il modello: Quella là diventa il modello della nostra vita.
Basterebbe percorrere alcuni significativi avvenimenti della Sua storia: anche Lei era poco più che una ragazzina quando l’Angelo Le chiede di diventare Madre del Messia ed Ella risponde: “Sono la Serva del Signore, si compia in me la tua parola”.
La disponibilità a ciò che Dio chiede; parlavo prima della vocazione: comprendete bene che se da Bernadette passiamo a Quella là, riceviamo un impulso a vivere la nostra vita come vocazione nella disponibilità: sono la Serva del Signore.
La cosa riguarda tutti: una disponibilità che diventa generosa dedizione perché lo
stesso San Luca ci fa notare che appena saputo che Elisabetta, sua parente aspetta un figlio Lei “in fretta”la raggiunge. (e S. Ambrogio commenterà: “Lo Spirito Santo non conosce i nostri ritardi”). La Madonna corre, va in fretta perché lo Spirito che la spinge non conosce le nostre pigrizie, le nostre indolenze (“tarda no limina”); lo Spirito corre, fa correre.
Dalla disponibilità al progetto, alla disponibilità nel servire fino a quel grande gesto supremo di coraggio che è lo stare ai piedi della Croce, ritta in piedi nell’offerta totale del Figlio prima ancora che di sé stessa.
Quella là: è una traccia, è un sentiero.
Ho qui un bel testo della piccola Bernadette che riflette su Maria ai piedi della croce e mi sembra molto bello: “Meditare spesso sulle sofferenze che Maria, la nostra buona Madre sopportò ai piedi della Croce su cui il Suo caro figlio era inchiodato. Quanto dovette essere profondo il dolore di quel cuore sensibile della Madre di Gesù vedendo quel caro corpo tutto straziato di colpi e contemplando i brandelli di carne che cadevano e il sangue che scorreva dalla testa ai piedi di quel sacro Corpo.
Qualsiasi altra donna che non fosse Maria si sarebbe abbattuta in presenza di un dolore così crudele. Giustamente questa Buona Madre è detta la Donna Forte poiché sta in piedi, sotto la croce, dove nostro Signore ci affida nella persona di Giovanni dicendo: O Maria è proprio al culmine del dolore e della prova che siete diventata mia Madre, io devo quindi avere una totale fiducia in Voi quando sarò sotto il colpo della prova da parte delle creature, sarò esposta alla tentazione e alla desolazione della mia anima io verrò a rifugiarmi nel Vostro cuore, mia buona Madre e a pregarvi di non lasciarmi perire, di accordarmi la Grazia di essere sottomessa e fiduciosa nella prova secondo il Vostro esempio, di soffrire con amore, che io rimanga come voi in piedi sotto la croce, inchiodata sulla croce se tale è la volontà del Vostro figlio.
Mai una figlia devota a Maria potrà perire, Mia buona Madre abbiate pietà di me. Io mi do completamente a Voi affinché Voi mi diate al Vostro caro Figlio e che io voglio amare con tutto il mio cuore, mia buona Madre, datemi un cuore veramente ardente per Gesù”
E’ una pagina, secondo me, di grande valore mistico; certo, ci sono state donne e
uomini che la mistica l’hanno raggiunta ad altissime vette; della piccola Bernadette non si dice così, ma una pagina così è sufficiente per farci capire la profondità di questa figliola che Quella là aveva attratto a sé.
Allora possiamo concludere che il gesto supremo di Bernadette che è quello della sua morte è veramente il modello del nostro pellegrinare a Lourdes, la sua agonia avviene nei giorni di Pasqua, muore il mercoledì dopo Pasqua, ma dal lunedì di Pasqua al mercoledì è tutto uno stare con lo sguardo fisso su Gesù.
In un gesto di supremo abbandono alza gli occhi al cielo, stende le braccia in croce e getta un grosso grido: “Mio Dio!”, tendendo le braccia con gli occhi fissi al crocefisso che ha tra le mani; erano le 3 e 15 pomeridiane del mercoledì dopo Pasqua 16 aprile 1879.
“Mio Dio”- “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” “ho sete”, le tre del pomeriggio, l’ora suprema del dono di Gesù, l’ora suprema del dono di Gesù a Bernadette.
In questo donarsi, macinata come un chicco di grano, dice di sé nel momento della sofferenza, è veramente il grande insegnamento, il grande messaggio che questa
povera fanciulla di Lourdes a cui Maria ha insegnato tutto.
Possa insegnarlo un po’ anche a noi.

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