Mons.Zaccheo, uomo di Carità

Dobbiamo essere molto riconoscenti al Signore che ci ha donato per dodici anni la guida attenta di un buon Vescovo. Monsignor Germano Zaccheo era un uomo di Carità.
E ce lo comunicò già il giorno del suo ingresso con un modo di fare semplice, privo di eccessiva forma. Al suo arrivo ad esempio, se ricordate, variò il protocollo facendo attendere le autorità soffermandosi prima a salutare gli ammalati.
Poi commentando la scelta del motto legato alla parabola di Zaccheo nell’omelia ricordo bene che si soffermò sul fatto che anche chi non aveva casa, perché era sofferente o ammalato, aveva diritto ad averne una, e in particolare, avevano necessità queste persone, della casa della carità, di accoglienza.
E mi stupì citando in quell’occasione Mons. Oreste Minazzi che lui non aveva mai conosciuto, pioniere della carità per la sua lungimiranza e attenzione agli ultimi nella realizzazione dell’Opera Diocesana di Assistenza.Disse che con grande gioia era venuto a conoscenza della fioritura nella nostra diocesi di case che accolgono persone con handicap; persone anziane rimaste sole (e tra di essi vi è chi una casa non l’ha e magari non l’ha mai avuta) accolte in una casa comune. Lì trovano fraternità e speranza.
Si ripromise già in quella sede di essere “presenza vivificante in quelle case ove anche le persone che sono chiamate a soffrire possano soffrire con speranza”.
A distanza di anni posso dire che il nostro Vescovo non è stato solo una presenza, ma è stato anche lievito. Ci ha presentato la strada da percorrere. È stato padre, fratello e guida per le iniziative dell’Opera Diocesana Assistenza. È sempre stato al nostro fianco. Si è sempre attentamente fatto parte di ogni problema, donando a chi ha avuto la fortuna di essere al suo fianco anche la soddisfazione e il merito della buona soluzione di quei problemi. E poi come non ricordarlo affettuosamente a coccolarsi i “ragazzi” della casa del giovane e della casa famiglia.
Ho collaborato con Mons. Zaccheo anche in altri ambiti, e come uomo di carità lo ricordo in molte attività diocesane legate alla Caritas: a fianco delle popolazioni alluvionate del 2000, testimone diocesano nella campagna della remissione del debito ai paesi poveri, o al fianco dei tanti obiettori di coscienza della Caritas. Lo ricordo ancora al cosiddetto “pranzo dei poveri” all’Istituto San Vincenzo prima e al Centro di Ascolto poi.
E ovviamente non posso non ricordarlo col portafoglio personale in mano a offrire un poco di denaro a chi gli chiedeva una mano. Era l’uomo della speranza e svolgeva il suo compito anche con la carità più spiccia – da molti (me compreso) spesso sottovalutata - che quotidianamente donava a coloro che bussavano alla sua porta. Rileggendo in questi giorni i suoi interventi relativi alla “Carità” pubblicati sulla Rivista Diocesana mi sono fatto l’idea che la sua definizione di Carità era quella affermata nella prima lettera di Giovanni: “Dio è Amore”. Ovvero l’amore per Dio e per i fratelli. E in questa prospettiva, ricordando che Gesù era venuto ad evangelizzare i poveri, dobbiamo riconoscere che Monsignor Zaccheo identificava Gesù Cristo nel “prossimo” che bussava alla sua porta.
Le situazioni di miseria, a cui oggi molti di noi, rischiano di non dare più ascolto, (per inciso nei telegiornali di eventi come il recente ciclone in Bangladesh che ha causato circa diecimila vittime e centinaia di migliaia d sfollati senzatetto, se ne è parlato per un solo giorno) non lo lasciavano indifferente e si può chiaramente dire che – mescolando due famose parabole - i tanti “Lazzaro” che ha conosciuto in lui hanno sempre incontrato non il fariseo ma il “buon samaritano” che si preoccupava di tutto. Evolvendo questo concetto non si può poi non citare la sua missionarietà dimostrata dal Benin all’Argentina, dal Togo alla Slovacchia e la sua vicinanza al mondo del lavoro.
In particolare in questi ultimi anni, in cui l’aspetto economico per i molti lavoratori di aziende in difficoltà è diventato sempre più pesante da sopportare. È sempre stato vicino anche a loro impegnandosi anche in prima persona – da splendido comunicatore quale era - nella mediazione e nel far riconoscere i diritti dei più deboli. In chiusura un ricordo personalissimo: in lui ho sempre trovato fiducia e quando ho scelto di dire la mia, andando controcorrente, andando contro al “si fa così” o all’ “abbiamo sempre fatto così” in pochi ho trovato accoglienza e solidarietà. In lui sempre. Grazie ancora Eccellenza.
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Alberto Busto

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