Mane Nobiscum Domine (Pasqua 2005)

È la Pasqua dell’Anno Eucaristico ed in tutte queste celebrazioni del “Triduo Pasquale” ho sempre cercato di ispirare l’omelia al tema dell’Eucaristia in rapporto alla Pasqua.
Anche in questa solenne celebrazione desidero parlarvi del profondo legame che l’Eucaristia ha con la Pasqua che ne è come la sorgente perenne.
Per questa ragione ho deciso di anticipare a questa mattina la lettura del Vangelo di Luca che, molto sapientemente per altro, la liturgia ufficiale assegna alla Messa vespertina.
Mi sono permesso questa eccezione, perché desidero commentarvi proprio la pagina dei discepoli di Emmaus in cui Luca adombra chiaramente la dimensione eucaristica dell’avvenimento pasquale
Il racconto l’abbiamo di nuovo ascoltato e del resto ci è noto.
Mi preme metterne in evidenza la struttura portante:
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La compagnia “velata”
Il primo elemento del racconto è la “compagnia”.
Gesù, misteriosamente velato nei panni di un viandante, si affianca ai due discepoli sconfortati e delusi.
E subito ci balza in evidenza questa “compagnia velata”.
Mentre “conversavano fra loro di tutto ciò che era accaduto (...) Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma ai loro occhi era impedito di conoscerlo” (Lc 24, 15-16).
C’è come un velo suiloro occhi, proprio come il velo dei segni eucaristici rende a noi difficile riconoscere la Sua Presenza.
Cantiamo infatti a proposito del “così grande sacramento” (Tantum ergo sacramentum...) che prostrati adoriamo (“veneremur cernui): “prestet fides supplementum sensuum defectui”
Supplisce la fede all’insufficienza dei sensi.
Il velo del pane e il velo del vino sono infatti i misteriosi segni della Presenza di Gesù in persona che si affianca al nostro faticato cammino quotidiano.
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Il cuore ardente
Ma il viandante di Emmaus si fa presente nel conversare.
Ed è tanto vero e appassionato il suo discorrere che i due discepoli saranno costretti a riconoscere:
“Non ardeva forse il nostro cuore mente egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24,32) .
Da che cosa può provenire anche per noi l’esperienza del “cuore ardente” se non dalla Parola che accompagna ogni Eucaristia?
Ancora oggi le parole che abbiamo ascoltato fanno ardere il nostro cuore mentre ci vengono spiegate le Scritture, benché anche noi –come i due viandanti- siamo troppo spesso “stolti e tardi di cuore a credere ciò che hanno detto i profeti” (Lc 24,25).
Anche oggi che è Pasqua, quanto è difficile comprendere il senso della Passione e Morte, sia pure alla luce della Risurrezione!
Perché tanto patire? Perché tanto strazio e sangue? Perché la morte e il sepolcro?
E il Maestro ancora a spiegarci:
“Non bisognava forse che il Cristo subisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? (Lc 24,26).
E noi a replicare: Ma quale bisogno? E perché bisogna ancora soffrire?
E perché bisogna ancora oggi che guerre e ingiustizie, violenze e disgrazie lacerino, come quella di Cristo, la carne dell’umanità?
“E cominciando da Mosè e da tutti i profeti” (Lc 24,27) bisogna ancora che Egli ce lo spieghi, a noi “stolti e tardi di cuore a credere” finché il nostro cuore si faccia “ardente” in forza della sua Parola.
Ogni Eucaristia ci fa sperimentare questo ardore, grazie alla Parola proclamata, a partire da “Mosè e da tutti i profeti” per arrivare al Vangeli di Gesù, luce e conforto ai nostri passi incerti.
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Il pane spezzato
Ma il punto cruciale del racconto di Luca riguarda proprio il pane e l’allusione eucaristica è trasparente.
Diranno ai loro amici rimasti in città “Come l’avessero riconosciuto nello spezzare il pane” (Lc 24,35).
Un gesto che ci è familiare proprio grazie all’Eucaristia e che doveva essere familiare anche a loro due, dopo che nella cena pasquale (sempre secondo Luca) Gesù “prese un pane, rese grazie, lo spezzò e diede loro” (Lc 22,19).
“Nello spezzare il pane” anche a noi è concesso riconoscere il Signore con gli occhi della fede: “Sola fides sufficit” La sola fede ci basta.
L’Eucaristia, compagnia velata che ci affianca, ci rende il cuore ardente e diventa Presenza consolante: come per i due sconsolati pellegrini che fuggivano dalla cronaca drammatica della città.
L’Eucaristia ha questa forza, è questa forza che ci fa riprendere il cammino, come in antico il pane offerto ad Elia.
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La partenza missionaria
Infatti dice il Vangelo che, confortati dal pane spezzato dal non più nascosto viandante “partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme” (Lc. 24, 33).
Ecco il ritorno gaudioso, ecco la partenza missionaria per “raccontare a tutti “ciò che era accaduto lungo la via”. (Lc 24,35).
L’Eucaristia è missionaria: è un mandato,infatti, “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). Non si può percorrere un tratto di strada con Gesù, non si può accogliere la sua parola e spezzare con lui il pane, senza correre in fretta e con sollecitudine, a comunicarne agli altri il Mistero.
Troppe volte l’Eucaristia è celebrata come rito concluso dentro le nostre chiese profumate d’incenso.
La Pasqua di Emmaus ci deve spingere fuori, ci manda nel mondo, ci impegna all’annuncio, alla testimonianza, al martirio.
Questa Pasqua 2005 è stata a noi consegnata con un grande simbolo: giovedì santo 24 marzo erano 25 anni dal martirio di Mons. Oscar Romero, trucidato sull’altare mentre celebrava l’Eucaristia.
Il 24 marzo 1980 quel sangue versato dal vescovo salvadoregno, mescolato al sangue eucaristico che egli stava celebrando, ci ha fatto memoria che non è possibile celebrare senza impegno missionario, senza lasciar fluire nella vita il dono di grazia che sgorga dall’altare.
Così viene sulle labbra anche a noi la bella invocazione dei due viandanti: “Mane nobiscum Domine quoniam advesperaxit” (Lc....).
Resta con noi, Signore, già si fa sera.
Si fa sera nei nostri cuori desolati.
Si fa sera nelle famiglie disgregate.
Si fa sera nella disperazione dei poveri,i oppressi, dei malati, dei tribolati.
Si fa sera all’orizzonte di una umanità perennemente dilaniata dalla fame, dall’ingiustizia, dalla guerra.
Si fa sera Signore. Resta con noi!
Mane nobiscum Domine. Amen

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