Le ragioni della speranza (Veglia di Natale 2005)

Il tema della speranza è d’obbligo in questo Natale. E ve ne do ragione subito. Abbiamo iniziato in tutte le Chiese d’Italia, il cammino pastorale verso il Convegno Ecclesiale che si terrà a Verona in ottobre, con il tema “Testimoni di Gesù Risorto speranza del mondo”.
E benché questo sembri piuttosto un tema pasquale (è dalla risurrezione di Gesù che nasce la speranza del mondo), tuttavia già dalla nascita del Salvatore- il nostro Natale- ha inizio il cammino della speranza, per tutta l’umanità.
Ce lo suggeriscono le splendide letture che ci hanno illuminato in questa santa Notte.
Esplicitamente la parola speranza è contenuta nel breve testo dell’Apostolo Paolo nella sua lettera al discepolo Tito.
Dice: “è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini” (Tt.2,11)
E il riferimento è evidente: è il Bambino di Betlemme, questa grazia che è apparsa a portare salvezza.
E ciò risulta chiaro dal seguito della parola di Paolo che aggiunge: “Nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo” (Tt. 2,13)
Se Gesù è il Salvatore di cui attendiamo la manifestazione (e il Natale, con l’Epifania, è proprio il grande avvenimento della manifestazione del Signore), allora è certo che la grazia “apportatrice di salvezza” è proprio Lui, il Bambino “avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia”. (Lc 2,7).)
Era stato dato proprio questo “segno” ai pastori abbacinati dalla luce di quella grande notte.
L’abbiamo ancora udito nel vangelo di Luca che domina la nostra assemblea in questa luminosa notte.
Ci ha detto l’Evangelista: “c’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro”non temete, ecco vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato, nella città di Davide, un Salvatore che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un Bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia” (Lc 2,8-12).
Quello che fu il segno per i pastori della lontana notte di Betlemme, è ancora il segno per l’uomo e il mondo di oggi. Un segno di speranza.
Abbiamo ascoltato la profezia di Isaia, suggestivo richiamo alla luce in questa notte.
“Il popolo che camminava nelle tenebre, vide una grande luce: su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”.
Hai manifestato la gioia, hai aumentato la letizia...... (Is 9,11 e ss)
Come l’angelo che annuncia una “grande gioia che sarà di tutto il popolo” anche il profeta si fa profeta di gioia e di letizia.
E che cosa può dare gioia ad un popolo che cammina nelle tenebre se non una “grande luce?..
Dunque: grande la luce, grande la gioia e, di conseguenza, grande la speranza.
Sono tempi questi, quelli in cui viviamo, non inclini alla speranza.
Se volessimo fare l’elenco delle condizioni umane in cui la speranza sembra progressivamente spegnersi al soffio dei venti gelidi dello sconforto e della paura, per non dire della disperazione, rischieremmo di offuscare anche la luce del Natale che pure brilla nei nostri cuori.
Eppure la luce del Natale non ci fa velo di fronte alle disperazioni del mondo e la speranza che il Natale suscita nei nostri cuori non è la speranza futura di chi chiude gli occhi di fronte alle miserie degli uomini e del mondo.
Anzi sono proprio queste che generano la vera speranza .
Quarant’anni fa si concludeva il Concilio: i Padri davano allora al mondo un grande messaggio di speranza, aprendo l’ultimo documento con queste storiche parole: Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze , le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo” (G et S 1,1,).
Come è suggestivo questo testo conciliare!.
Esso, come un “leit motiv” si ripercuote su tutto il prezioso documento: la “Gaudium et Spes”.
“Mai il genere umano- è detto nell’esposizione introduttiva- ebbe a disposizione tante ricchezze, possibilità e potenza economica, e tuttavia una grande parte degli uomini è ancora tormentata dalla fame e dalla miseria, e intere moltitudini sono ancora interamente analfabete. Mai come oggi gli uomini hanno avuto un senso così acuto della libertà, e intanto si affermano nuove forme di schiavitù sociale e psichica. E mente il mondo avverte così lucidamente la sua unità e la mutua interdipendenza dei singoli in una necessaria solidarietà, a causa di forze tra loro contrastanti, violentemente viene spinto in direzioni opposte; infatti permangono ancora gravi contrasti politici, sociali, economici, razziali e ideologici, né è venuto meno il pericolo di una guerra totale capace di annientare ogni cosa. Aumenta lo scambio delle idee, ma le stesse parole con cui si esprimono i più importanti concetti, assumono nelle differenti ideologie, significati assai diversi. Finalmente con ogni sforzo si vuol costruire un ordine temporale più perfetto, senza che cammini, di pari passo, il progresso culturale.
Immersi in così contrastanti condizioni, moltissimi nostri contemporanei non sono in grado di identificare realmente i valori perenni e di armonizzarli dovutamente con quelli che man mano si scoprono. (Gaudium et Spes...)
Pensiamo al valore della vita umana minacciata fin dal suo concepimento e addirittura violata da mani sacrileghe (e spesso prezzolate) nel suo stesso sorgere.
E pensiamo ai tanti altri valori come l’onestà negli affari, il rispetto della dignità umana, la struttura stessa della famiglia fondata sul matrimonio e non su umilianti carnevalate, stravaganti e offensive perfino dal buon senso.
In effetti la grande crisi di speranza nasce dalla crisi dei valori, travolti da un’insensata cultura di un nichilismo individualista che ha fatto smarrire ogni senso oggettivo e referenziale
Gioie e speranze, in effetti, sono commiste con tristezze e angosce, lasciando così intendere che la speranza cristiana non è per nulla una incosciente illusione che non tiene conto della realtà. Ma, che proprio perché nasce nel cuore della realtà dei poveri e di quelli che soffrono, è una speranza autentica e non illusoria.
Essa infatti si fonda non su facili ideologie o su mistificanti fantasie, bensì su di un solido fondamento: Gesù, il Signore.
Ci viene ancora in soccorso la splendida pagina di Isaia: “davanti a te gioiscono, come si gioisce quando si miete ( perché la mietitura nella gioia è sempre preceduta dalla fatica della semina e dal lavoro) e come si esulta quando si divide la preda ( perché anche la vittoria è figlia di lotta, di sangue e di morte).
E continua il profeta: “hai spezzato il giogo, la sbarra sulle spalle e il bastone dell’aguzzino”.
Immagini corusche, per indicare, senza infingimenti, una realtà dura e complessa: non solo dell’antico popolo a cui faceva riferimento Isaia, ma di ogni umanità in ogni storia e tempo.
“Poiché un bambino è nato per noi: ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle il segno della sovranità.... Ed è chiamato “principe della pace”. (Is 9,5).
Ecco la ragione della speranza cristiana: questo bimbo, questo figlio. Questa “grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini”.. (Tt. 2,11).
Questa è infatti la “beata speranza” e “la manifestazione del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo”. (Tt 2,13 ).
Aveva ragione il Papa Leone Magno di cui abbiamo letto, come apertura liturgica alla nostra celebrazione, un brano dell’omelia di Natale .
“Il nostro Salvatore è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita (....).
Nessuno è escluso da questa felicità (...)
Esulti il santo perché si avvicina il premio, gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita (omelia di San Leone Magno).
Non dunque un’esultanza superficiale e facilona, ma una speranza ben fondata: fondata su questa inconfutabile certezza: “Oggi è nato un salvatore, che è Cristo Signore (Lc ). Stringendovi a Lui, pietra viva- ci raccomanda l’apostolo Pietro nella sua Prima lettera - adorate il Signore Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi “ (I Pt. 3,15).

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