In qua nocte tradebatur (Messa in “Coena Domini” 2005)

L’ora che stiamo qui vivendo è quella che l’apostolo Paolo definì proprio così: “In qua nocte tradebatur” .
La notte (la sera) in cui veniva tradito....
Forse sarebbe più bello e convincente tradurre così: la notte in cui Gesù veniva consegnato....
Certo, consegnato dal traditore che con un bacio lo indicava agli sgherri.
Ma anche consegnato alla sua passione dal tradimento di tutti, dall’invidia di alcuni, dalla meschina indifferenza di molti.
La notte della consegna è questa.
Perché questa è la notte in cui Gesù si mette nelle nostre mani: “Questo è il mio corpo, prendete e mangiate”.
Questa è l’Eucaristia: Gesù che si consegna, Gesù che si dona.
Proviamo ad approfondire questo mistero, alla luce della letture bibliche appena proclamate.
Le immagini sono tre, ma tutte parlano di consegna, di dono, di Eucaristia.
La prima ci viene da lontano: dall’antica Pasqua in Egitto del popolo d’Israele: è l’icona dell’agnello, da immolare al tramonto.
È trasparente il messaggio: quel dolce, innocente agnello, belante di fronte al sacrificio, il cui sangue asperge lo stipite della casa e le cui carni sono messe in tavola a disposizione della famiglia, è simbolo luminoso di una dedizione totale che salva.
“Agnus Dei qui tollis peccata mundi”.
Anche la seconda icona pasquale- pane azzimo e vino d’uva- è messa in tavola come segno di dedizione.
Dice Gesù: “Questo è il mio corpo che è per voi”.
“Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue”.
Ecco dunque l’atteggiamento di dedizione dell’agnello, reso vero e reale nella offerta di corpo e sangue da parte di Gesù, che così istituisce l’Eucaristia: “Fate questo, ogni volta che ne bevete in memoria di me”.
E se i simboli, per caso, non fossero sufficientemente espliciti, ecco l’azione liturgica: i piedi dei discepoli lavati da colui che è “Maestro e Signore”.
Fra poco il Vescovo compirà lo stesso gesto, rendendo per una volta la Parola evangelica, verità e azione.
Ma la verità è oltre questa pur nobile azione liturgica.
La verità è sempre la stessa “Nella notte della consegna” .
Gesù, come agnello immolato, mette corpo e sangue sul tavolo della festa pasquale per dire, come farà con la lavanda dei piedi, il grande messaggio di un amore che si consegna.
E che deve essere rinnovato (“Fate questo”) da chi vuol essergli discepolo.(“Vi ho dato l’esempio).
La notte del tradimento è così anche la notte della consegna di sè, del dono, dell’Eucaristia.
Non si può infatti celebrare l’Eucaristia senza disponibilità alla consegna, al dono, all’amore.
Vi cito spesso una parola di fuoco del grande scrittore francese, Georges Bernanos: “Nessun rito dispensa dall’amare”.
E in verità neppure il rito della lavanda dei piedi che ripeteremo stasera.
E tantomeno il rito eucaristico che rinnoveremo “In Coena Domini”.
Nessun rito dispensa dall’amare, perché “tutto questo apparato di saggezza, di forza, di disciplina elastica, di magnificenza e di maestà ( che sono le nostre liturgie eucaristiche) non è nulla se la carità non ci anima.
È ancora parola di Bernanos.
Dunque occorre andare oltre il rito, perfino oltre il rito eucaristico per attingere all’amore, cioè alla consegna di sè, al dono generoso della vita.
Questo infatti è il servizio della Eucaristia che noi siamo invitati a fare in sua memoria.
Il Santo Padre, nella recente lettera “Mane nobiscum Domine” ci impartisce un insegnamento assai prezioso proprio su questo tema.
Egli scrive:
Nell'Eucaristia il nostro Dio ha manifestato la forma estrema dell'amore, rovesciando tutti i criteri di dominio che reggono troppo spesso i rapporti umani ed affermando in modo radicale il criterio del servizio: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti» (Mc 9,35). Non a caso, nel Vangelo di Giovanni non troviamo il racconto dell'istituzione eucaristica, ma quello della «lavanda dei piedi» (cfr Gv 13,1-20): chinandosi a lavare i piedi dei suoi discepoli, Gesù spiega in modo inequivocabile il senso dell'Eucaristia. San Paolo, a sua volta, ribadisce con vigore che non è lecita una celebrazione eucaristica nella quale non risplenda la carità testimoniata dalla concreta condivisione con i più poveri (cfr 1Cor 11,17- 22.27-34).
Perché dunque non fare di questo Anno dell'Eucaristia un periodo in cui le comunità diocesane e parrocchiali si impegnano in modo speciale ad andare incontro con fraterna operosità a qualcuna delle tante povertà del nostro mondo? Penso al dramma della fame che tormenta centinaia di milioni di esseri umani, penso alle malattie che flagellano i Paesi in via di sviluppo, alla solitudine degli anziani, ai disagi dei disoccupati, alle traversie degli immigrati. Sono mali, questi, che segnano — seppur in misura diversa — anche le regioni più opulente. Non possiamo illuderci: dall'amore vicendevole e, in particolare, dalla sollecitudine per chi è nel bisogno saremo riconosciuti come veri discepoli di Cristo (cfr Gv 13,35; Mt 25,31-46). È questo il criterio in base al quale sarà comprovata l'autenticità delle nostre celebrazioni eucaristiche.
Una pagina impegnativa questa con cui il Santo Padre mette il sigillo all’Anno Eucaristico che stiamo celebrando.
Afferma infatti che su questa prospettiva “si gioca in notevole misura l’autenticità della partecipazione all’Eucaristia celebrata nella comunità”.
Se l’Eucaristia è Gesù che si consegna anche per la Chiesa, essa non può essere che un appello alla consegna , una chiamata al dono di sé, un “impegno fattivo- come dice ancora il Papa- nell’edificazione di una società più equa e fraterna”.
Gesù ce ne ha dato l’esempio, proprio nella notte in cui veniva tradito e consegnato.
Una preghiera liturgica, spesso citata nel canto liturgico, ci viene alla memoria, come sigla di questa dimensione eucaristica del dono di sé.
“Panis Angelicus”.
La ripercorriamo con devozione parola per parola.
“Panis Angelicus fit panis hominum »
Il pane degli angeli è pane per gli uomini.
O res mirabilis!
O meraviglia grande!
Manducat Dominum
Il Signore stesso si fa cibo,
pauper, servus et humilis.
cibo consegnato al povero, allo schiavo, all’ultimo.
Il Signore si consegna a noi nella sua Pasqua d’amore, perché anche noi consegnamo la nostra vita ai fratelli.
Il rito diventa amore.

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