Il Natale e la città (Veglia di Natale 2004)

Il racconto di Luca ci meraviglia ogni anno. In una notte come questa il meraviglioso racconto ci commuove.
“Oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore” ( Lc, 2).
La città è in festa: la città di Davide, allora, la città dell’uomo, oggi.
È in festa perché “il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce...”..
“Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia” (Is 9,13). Così l’antico profeta Isaia di cui abbiamo ancora una volta udito gli accenti in questa luminosa notte.
E Paolo incalza: “È apparsa la grazia di Dio apportatrice di salvezza per tutti gli uomini”. (Ts 2,11).
Non è dunque soltanto alla “città di Davide” che viene annunciata “una grande gioia”.
È alla città dell’uomo che viene proclamata oggi l’esultanza, come quella di una “moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva “Gloria a Dio e pace in terra”. (cfr. Lc, 2,14).
Ma che cosa può offrire alla città dell’uomo questo Natale? Di quale messaggio può farsi portatrice la nostra Chiesa per la gente di questa città?”.
Un messaggio augurale ci viene dalla prossima “Giornata per la vita” per la quale ( quando fra 40 giorni rivivremo il clima natalizio nella festa della Candelora) i vescovi italiani – anch’io, dunque- abbiamo coniato lo slogan: “Fidarsi della vita”.
Sì, occorre che difendiamo la fiducia nella vita. Poiché i tempi non sono favorevoli.
Nella città dell’uomo, la vita- come quella del Bambino Gesù nella Betlemme del censimento- non è facilmente accolta, spesso, anzi, respinta.
Si fa strage di innocenti ogni giorno nel grembo delle loro madri.
E si affacciano tempi in cui si produrranno artificialmente vite umane per assecondare progetti prometeici cui l’orgoglio della scienza e la prepotenza del denaro chiedono sempre più mano libera: contro la dignità e i diritti della vita umana, subordinata ad interessi inconfessabili.
Bisogna reagire. Il Natale chiede di non essere ridotto ad uno stordimento generale nel buonismo e in sdolcinati sentimenti..
“Fidarsi della vita”. Ecco la vera sfida di una festa che è per eccellenza “la festa della vita”.
Ma vi è quest’anno una particolare circostanza che chiede attenzione. Fra pochi mesi si chiuderanno tutte quelle istituzioni che accoglievano bimbi abbandonati e senza famiglia.
Non potranno, queste giovani vite, essere lasciate in un nuovo abbandono.
È l’occasione per la società civile di dar prova della sua civiltà.
Invece di cercare figli da provetta, con tutto ciò che di blasfemo ciò comporta, le coppie ansiose di un figlio potranno aprire case e cuori a queste migliaia di bimbi, nati ma non amati, nati, ma non accolti.
Ecco che cosa può voler dire quest’anno il Mistero del Natale nella nostra società.
E vi è una seconda componente di riflessione per questa notte.
È l’originalità della fede cristiana che emerge dal Mistero dell’Incarnazione e del Natale. Il Dio fatto uomo provoca la nostra fede. E ci provoca a non edulcorarla negli estenuati sincretismi di moda.
In presenza di un così radicale rimescolamento culturale e religioso in cui veniamo come travolti, non è improbabile il rischio della perdita di identità.
La fede cattolica che professeremo tra poco inginocchiandoci alle grandi parole “Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine et homo factus est”, questa fede cattolica non può essere né confusa né omologata.
Troppo grande, troppo originale è il Mistero che celebriamo.
In nessuna professione religiosa, per rispettabile che sia, (e tutte sono rispettabili), in nessuna religione mai si è affermato o si afferma che Dio si è fatto uomo.
Noi sì. Noi lo crediamo. E non intendiamo barattare questa fede, così unica e originale, con nessun’ altra filosofia o sapienza umana e terrena.
Per noi i Verbo (figlio di Dio, Dio lui steso) si è fatto uomo, prendendo carne nel grembo di una donna, la Vergine Maria.
Questa è la nostra fede e noi ci gloriamo di professarla, ancora una volta, questa notte.
Alla nostra città siamo debitori, non solo della testimonianza per la vita, ma anche di una coraggiosa testimonianza per la fede.
Così una terza componente di questo Natale viene alla ribalta: la nostra tradizione.
Lo dico con la T maiuscola.
Si è discusso in questi giorni del Presepe ed dello stesso Gesù.
E qualcuno ha perfino sostituito il Natale cristiano con favole e favolette di dubbio gusto.
Non ci siamo.
La nostra identità culturale, che a Natale si esprime con simboli incancellabili, tra cui il Presepe e il Bambinello nella paglia, non può essere abbandonata per semplicistici conati di irenismo e pacifismo.
Il Dio della vita e della pace è Lui, il Bambino di Betlemme.
Non vale nasconderlo o velarlo, cancellarlo o dimenticarlo.
Lui è lì. Ieri a Betlemme, nella città di “Davide” oggi nella città dell’uomo a cui porta ancora l’ineffabile messaggio di universale fraternità.
Andiamo fieri delle nostre tradizioni: esse ci testimoniano che “è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini”. (Ts. 2,11).
La città è in festa. E la nostra chiesa in mezzo alla città proclama a gran voce il senso universale della sua festa: “Oggi è nato per noi un Salvatore, che è Cristo Signore”. (Lc 2,10).

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