Dio è Amore (Messa in Coena Domini 2006)

“Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”.
Così l’evangelista Giovanni ci ha introdotti questa sera nel pieno della celebrazione pasquale.
Dal gesto (che con trepidazione ripeteremo fra poco) della lavanda dei piedi ai discepoli, al gesto eucaristico del corpo dato e del sangue sparso, ai commossi discorsi sulla comunione e sul comandamento nuovo dell’amore, quella cena antica, di cui noi celebriamo il memoriale, è tutta soffusa di una sola parola: amore.
E lo è in questa Pasqua illuminata, come nessun’altra, dalla parola che Benedetto XVI, ci ha voluto ripetere nella sua prima enciclica: Dio è amore.
E lo ha fatto senza timori e pudori, traducendo la parola latina “Caritas” ( e quella greca “agape”) con la semplicissima parola italiana: amore.
Lo sa benissimo il Papa che, all’inizio della sua Enciclica, lo precisa.
A proposito della parola amore - scrive il Papa - “ci ostacola anzitutto un problema di linguaggio. “Il termine “amore” è oggi diventato una delle parole più usate ed anche abusate, alla quale annettiamo eccezioni del tutto differenti”.
E tuttavia il Papa, coraggiosamente, vuol correre questo rischio e, in tutta la sua bella enciclica , continua a parlarci di amore.
Proprio come il Vangelo che abbiamo letto questa sera: “Gesù, avendo amato i suoi che erano nel mondo, lo amò fin alla fine”.
E possiamo incominciare a domandarci che cosa significa “amare fino alla fine”.
Il primo significato è di un amore che non si ferma, non si interrompe, non si sospende: amore fino alla fine. Alla fine della vita. E per Gesù è così.
Ma l’espressione può voler dire ancora di più: amare fino all’estremo e cioè senza confini, non solo temporali. Amore, quello di Gesù che arriva all’estremo gesto d’amore che è dare la vita. Come egli stesso spiega: “Non c’è amore più grande di chi dà la vita”.
E più ancora, “amore fino alla fine”, potrebbe voler dire un amore “esagerato”, non richiesto, del tutto gratuito, al limite addirittura del concepibile. È ancora Gesù che lo spiega, con due gesti estremi: quello di lavare i piedi ai discepoli e quello di darsi a loro come corpo e sangue. Sono i gesti eucaristici di questa sera, in cui rinnoviamo i gesti supremi d’amore dell’ultima cena.
Vediamoli un po’ nella loro connessione, come segni di un supremo amore: “usque in finem”.
Abbiamo riascoltato il racconto di Paolo il quale, occasionalmente scrivendo ai Corinti che celebravano malamente la cena del Signore (cioè divisi ed incapaci di vera fraternità d’amore) racconta ciò che a sua volta aveva ricevuto e trasmesso cioè la parola di Gesù che “nella notte in cui veniva tradito prese il pane e poi il calice del vino dicendo: questo è il mio corpo e questo è il calice del mio sangue. Fate questo in memoria di me”.
Ecco dunque l’amore “esagerato”: dare il proprio corpo e il proprio sangue, cioè la propria vita, invitandoci a fare altrettanto.
Supremo è il gesto d’amore consegnato ai discepoli, alla chiesa, a noi, come in ogni Eucaristia.
Il gesto raccontato da Giovanni, nella stessa sera (l’ultima, fino alla fine....) non è dissimile. E per di più si chiude con lo stesso comando.
“Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io facciate anche voi”.
Non è solo questione di umiltà: il Maestro e il Signore che lava i piedi, assumendo la veste dello schiavo.
È questione di amore, perché questo vuol dire “lavare i piedi gli uni gli altri” cioè servire per amore, mettendosi ciascuno a disposizione dell’altro.
Quello che il vescovo farà fra poco è niente rispetto a quello che significa.
Lavare i piedi di questi dodici ragazzini rischia perfino di essere un diversivo liturgico se non forse carico di quei significati altissimi che ebbe il gesto di Gesù: come l’Eucaristia, anche la lavanda dei piedi obbedisce alla stessa parola: amore. Anzi, un supremo amore. Un amore senza confini.
Il Papa ce lo spiega nella sua Enciclica:
“ La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti — un realismo inaudito. Già nell'Antico Testamento la novità biblica non consiste semplicemente in nozioni astratte, ma nell'agire imprevedibile e in certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la pecorella smarrita , l'umanità sofferente e perduta”.
E l’Enciclica continua con questa riflessione:
“ A questo atto di offerta Gesù ha dato una presenza duratura attraverso l'istituzione dell'Eucaristia, durante l'Ultima Cena. Egli anticipa la sua morte e resurrezione donando già in quell'ora ai suoi discepoli, nel pane e nel vino, se stesso; il suo corpo e il suo sangue”.
Ecco il supremo gesto d’amore che questa sera noi non solo commemoriamo, ma riviviamo come un memoriale.
Ma da quel gesto di Gesù, deve sgorgare anche ogni gesto d’amore: egli infatti ci ripete. Sapete ciò che vi ho fatto?
“Voi mi chiamate maestro e Signore e dite bene perché lo sono. Ma se io, il Signore e il Maestro ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri.
Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io facciate anche voi”.
È da questa sorgente che nasce anche il nostro amore. Quell’amore che Gesù ci ha affidato come il suo nuovo comandamento.
È ancora il Papa nella sua prima enciclica:
“I santi — pensiamo ad esempio alla beata Teresa di Calcutta — hanno attinto la loro capacità di amare il prossimo, in modo sempre nuovo, dal loro incontro col Signore eucaristico e, reciprocamente questo incontro ha acquisito il suo realismo e la sua profondità proprio nel loro servizio agli altri. Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento. Entrambi però vivono dell'amore preveniente di Dio che ci ha amati per primo. Così non si tratta più di un « comandamento » dall'esterno che ci impone l'impossibile, bensì di un'esperienza dell'amore donata dall'interno, un amore che, per sua natura, deve essere ulteriormente partecipato ad altri. L'amore cresce attraverso l'amore. L'amore è « divino » perché viene da Dio e ci unisce a Dio e, mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia « tutto in tutti » (1 Cor 15, 28).
Così dunque questa sera impariamo ad amare.
- Perché Dio è amore.
- Perché ci ha amati per primo.
- Perché ci ha mandato il suo Figlio ad insegnarci l’amore senza limiti e senza confini (amò fino alla fine).
- Perché Egli, l’Amore del Padre rivelato nel Figlio, ci consegna i suoi gesti d’amore e ci dice di rinnovarli in sua memoria.
Così questa sera impariamo l’amore.

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