LA NOSTRA CHIESA È LA CHIESA DEI SANTI

Una volta di più mi affascina l’intuizione dello scrittore francese Georges Bernanos quando, concludendo la sua prorompente requisitoria sul processo e il martirio di Santa Giovanna d’Arco, in una specie di ritornello va esclamando, ad ogni capoverso: “Ma la nostra Chiesa è la Chiesa dei santi”.
Ve ne cito una pagina, quasi come esergo di questa Lettera Pastorale che ho voluto intitolare così, rubando al grande scrittore le sue parole:
L’ora dei santi giunge sempre. La nostra Chiesa è la Chiesa dei santi.
Coloro che vi si avvicinano con diffidenza credono di intravedervi solo delle porte chiuse, delle barriere e degli sportelli, una specie di gendarmeria spirituale.
Ma la nostra Chiesa è la Chiesa dei santi.
Per essere un santo, quale vescovo non darebbe il proprio anello, quale cardinale non cederebbe la propria porpora, quale pontefice il proprio vestito bianco, i propri camerieri, le proprie guardie, il proprio potere temporale? Chi non vorrebbe avere la forza di correre questa incredibile avventura? Infatti la santità è un’avventura ed è anche la sola avventura possibile. Chi ha compreso questo, anche per una sola volta, è entrato nel cuore della fede cattolica.
Tra questi due punti focali voglio collocare questa riflessione pastorale: la consolante certezza di far parte (e noi ce ne gloriamo) di questa Chiesa dei Santi e l’impegnativa urgenza di “avere la forza di correre questa incredibile avventura”.
Nella Chiesa dei santi ognuno è chiamato all’avventura della santità.
Come nasce l’idea
Viene da due fonti questa proposta pastorale.
Dall’appello del Papa, anzitutto.
Tracciando infatti le piste privilegiate per la Chiesa che si affaccia al Terzo Millennio (“Novo Millennio Ineunte”), Giovanni Paolo II afferma in modo perentorio: “In primo luogo non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità”. (N.M.I. n.30)
E continua, incalzando, “È ora di riproporre a tutti con convinzione questa misura alta della vita cristiana ordinaria (N.M.I n.31).
D’altra parte nella nostra Chiesa diocesana ci accingiamo a celebrare quello che abbiamo chiamato l’Anno Evasiano, con cui vogliamo ricordare un avvenimento che segna tutta la nostra storia. Nel 1403, infatti, venivano solennemente ricollocate nella nostra Cattedrale (ormai ricostruita dopo l’incendio del 1215) le Sante Reliquie del Vescovo e Martire Evasio, patrono di Casale “ab immemorabili”, fin dai tempi di Liutprando (sec VIII).
A sei secoli di distanza da quel memorabile avvenimento, ci raccogliamo attorno all’Urna del Santo Patrono della città e della Diocesi e in un anno intero siamo quasi costretti, per coerenza, a sentirci “la Chiesa dei santi”, chiamati anche noi alla santità.
Chiesa dei santi
L’espressione è pregnante.
Essa ha un primo evidente significato che è quello del calendario liturgico e del Martirologio.
Il calendario liturgico ci propone di giorno in giorno alcune memorie, feste e solennità in cui siamo invitati a ricordare i grandi santi della nostra storia cristiana: dai santi apostoli ai grandi martiri, dai confessori della fede alle sante vergini, dai dottori della Chiesa ai santi missionari.
Alcuni di questi santi sono diventati anche i Patroni delle nostre Parrocchie, insieme con la “Tuttasanta”, la Vergine Maria, Immacolata e Assunta.
Ma i santi non sono soltanto quelli del calendario liturgico: c’è un libro, che pochi conoscono, che si chiama il “Martirologio”: in esso sono raccolti giorno per giorno, nella data della loro morte corporale (che la Chiesa chiama il “Dies natalis”, giorno della nascita al cielo), santi e beati, martiri vergini e confessori della storia cristiana.
Recentemente, su una delle tante intuizioni felici del Santo Padre, si era provveduto a redigere un Catalogo (Nuovo Martirologio) di tutti i martiri contemporanei (ogni anno sono decine) anche se non riconosciuti come Beati o Santi da una ufficiale dichiarazione della Chiesa.
Scorrendo queste pagine di fulgida storia cristiana, ognuno di noi si sente, certo, molto piccolo e fragile di fronte a tanti colossi di santità, di coraggio, di generosità, di genialità.
Perché i santi hanno anche il genio della pienezza di umanità: sono uomini e donne “riusciti”, sono modelli di un umanesimo pieno, sono capolavori di grazia.
Ma mentre ci sentiamo piccoli davanti a giganti, insieme percepiamo di appartenere alla loro stessa razza, alla loro grande famiglia:”la nostra Chiesa, infatti, è la Chiesa dei santi”.
E noi ne facciamo parte.
Noi camminiamo sui loro sentieri, siamo portati sulle loro spalle, apparteniamo alle loro schiere.
Scrive ancora Bernanos “Essi vissero, soffrirono come noi. Furono tentati come noi. Portarono pienamente la loro croce e più d’uno, senza alleggerirne il peso, vi si coricò sopra per morire! Essi ci camminano avanti.
E quando i Santi marciano insieme .... (così canta un celebre “spiritual” al ritmo festoso del quale i negri d’America portavano al cimitero i loro amici, vittime di disumani trattamenti) oh, come vorremmo camminare anche noi al loro passo.
“Ma chi non arrossirebbe – è ancora Bernanos - per essersi fermato troppo presto, per averli lasciati proseguire da soli lungo la loro strada immensa?
Ecco dunque la nostra compagnia: essa è quella dei santi.
“Chiesa santa”
Ma c’’è di più. Nel Credo cantiamo: “Et unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam”.
Ve lo cito in latino, ma è un latino limpido e luminoso.
La nostra Chiesa è santa.
E se abbiamo il giusto e sacrosanto orgoglio di appartenere alla “Chiesa dei santi” tanto più ci dobbiamo sentire onorati di far parte della Chiesa che è santa.
Onorati, sì, ma anche impegnati.
Infatti è proprio dall’appartenenza alla Chiesa santa che nasce per noi un reale impegno alla santità.
Ma torneremo più avanti su questa conseguenza.
Ora ci tocca approfondire, sia pure con concisione, questa espressione: “Chiesa santa”.
Scrive il Papa sempre nel documento citato( N.M.i. m.30):
“La riscoperta della Chiesa come mistero ossia come popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, non poteva non comportare anche la riscoperta della sua santità, intesa nel senso fondamentale dell’appartenenza a Colui che è per antonomasia il «tre volte santo» (cfr Is. 6,3). Professare la Chiesa come santa significa additare il suo volto di Sposa di Cristo, per la quale Egli si è donato, proprio al fine di santificarla. (cfr Ef.5,25-26).
Il Papa ci introduce così al “Mistero della Chiesa” che il documento conciliare “Lumen Gentium” ha fortemente contribuito, nel nostro tempo, a riscoprire e a ricomprendere.
Un approfondimento della “Lumen Gentium” è dunque necessario per ben argomentare intorno a questo argomento.
E mentre ve lo raccomando caldamente, desumo proprio da questo fondamentale documento conciliare, le motivazioni fondanti di questa professione di fede nella Chiesa “Una, santa”.
Il primo capitolo della “Lumen Gentium” infatti, dopo aver tratteggiato il Mistero della Chiesa rispetto al “progetto “del Padre, alla “missione” del Figlio e all’ “azione” dello Spirito Santo, si sofferma a raccogliere dalla Sacra Scrittura le principali immagini che ne adombrano il mistero. E sono tutte immagini attinenti alla santità.
La Chiesa è un “ovile” di cui la porta e il pastore è Cristo. E dunque la santità del Pastore la permea.
La Chiesa è il “campo” di Dio e in esso la vera vite è Cristo, radice di ogni santità.
La Chiesa è l’ “edificio” di Dio di cui Cristo è la pietra angolare che rende santa tutta la costruzione, votata al Signore, come tempio santo.
La Chiesa è “sposa” di Cristo, come già abbiamo ricordato, così che la santità dello Sposo tutta la permea e rinnova.
La Chiesa è il “corpo” di cui Cristo è il capo, secondo l’affascinante dottrina di Paolo che usa questa immagine proprio per convincere i Corinti ad una vita di santità.
Infine, dice il Concilio, la Chiesa è il “popolo di Dio” , immagine fra tutte la più coerente con il suo mistero, che la I° Lettera di Pietro definisce con successive, crescenti espressioni piene di luce: “stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa” (I Pt. 2,29).
Chiesa di santi
È il Papa stesso che nella già citata lettera “Novo Millennio Ineunte” tira le conseguenze con grande coerenza da questa fede nella “Chiesa santa”.
“Questo dono- Egli dice- di santità, per così dire oggettiva, è offerto a ciascun battezzato.
Ma il dono si traduce a sua volta in compito”. (N.M.I. n.30)
E il compito è essenzialmente questo, per ciascuno di noi che fa parte della Chiesa e ne condivide l’appartenenza: la santità.
Così possiamo dire che, essendo la Chiesa “santa”, santi devono essere tutti coloro che, attraverso il Battesimo e la Cresima, sono entrati a farne parte.
La santità non è dunque un “optional” per chi è nella Chiesa, per chi ci vuole restare, per chi sente di appartenervi.
Così la nostra Chiesa non è soltanto la “Chiesa dei santi” di cui andiamo fieri e orgogliosi (e giustamente, perché ci onora una tale compagnia!) ma è anche una “Chiesa di Santi”, cioè di uomini e donne che ne condividono, e non possono non condividerne, la santità, pur essendo fragili e, spesso, peccatori.
Può sembrare eccessivo questo ragionamento, quasi fosse troppo impegnativo per la nostra fragilità, la nostra indolenza, le nostre stanchezze.
Ma è questo il senso di quelle espressioni un po’ troppo colorite che definiscono la Chiesa “comunità di santi e peccatori”, insistendo perfino su questa ambiguità, fino a parlare, citando Sant’Ambrogio, della Chiesa come “casta meretrix” (casta meretrice).
Giustamente il senso corretto da attribuire all’espressione, così colorita del grande Ambrogio, dottore della Chiesa, è molto sfumato e va interpretato con intelligente delicatezza: ne ha scritto egregiamente alcuni anni fa il Cardinal Biffi, arcivescovo di Bologna: “Nel suo significato originario- scrive – l’espressione “casta meretrix”, lungi dall’alludere a qualcosa di peccaminoso e di riprovevole, vuole indicare- non solo nell’aggettivo, ma anche nel sostantivo- la santità della Chiesa ; santità che consiste tanto nell’adesione senza tentennamenti e senza incoerenze a Cristo suo sposo (“casta”) quanto nella volontà di raggiungere tutti per portare tutti alla salvezza(“meretrix”).
“E non appartiene- continua il Card.Biffi- «ai Padri», in genere, ma al solo Ambrogio, che nella spregiudicata libertà della sua fede (e noi diremmo anche del suo libero linguaggio , n.d.r) l’ha coniata con l’unico intento di esaltare la «Sposa di Cristo»” (Biffi, Saggio sull’ecclesiologia di sant’Ambrogio – Piemme Casale 1996, pg 13).
Quando diciamo che la Chiesa è “santa” ci riferiamo al suo “Mistero”, quando aggiungiamo che “essa è Chiesa di santi e peccatori”, ci riferiamo a noi che ne facciamo parte, spesso indegnamente, ma sempre aperti alla speranza della riconciliazione e del perdono, proprio attraverso la Chiesa:una speranza che ci consente sempre di passare da peccatori a santi, nella sua santità.
Qui vorrei collocare un appello, per questo nostro Anno Evasiano: che esso non sia solo un anno di celebrazioni, ma anche un tempo opportuno e favorevole per il nostro cammino verso la santità.
Un cammino che sappia partire dalla concretezza della nostra vita, sempre bisognosa di essere emendata, riformata e risanata: proprio dal nostro peccato.
Per questo ho chiesto e ottenuto dalla Sacra Penitenzieria Apostolica e- per mezzo di essa- dal Santo Padre- una speciale Indulgenza Plenaria, concessa alle solite condizioni (la contrizione del cuore, anzitutto, espressa nel Sacramento della Penitenza e nella partecipazione all’Eucaristia) per quanti in quest’anno visiteranno, devotamente, le Sante Reliquie del nostro Patrono, nella Chiesa Cattedrale o negli altri luoghi dove saranno solennemente esposte.
Vuole essere un richiamo alla santità, anche attraverso il sacramento della Riconciliazione e Penitenza che molto è raccomandato dal Papa nella “Novo Millennio Ineunte”.
“Un rinnovato coraggio pastorale- Egli scrive- vengo poi a chiedere perché la quotidiana pedagogia della comunità cristiana sappia proporre in modo suadente ed efficace la pratica del sacramento della Riconciliazione (....) che è per un cristiano «la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei suoi peccati commessi dopo il Battesimo»”. (N.M.I n 37).
Anche la speciale Indulgenza dell’Anno Evasiano, ci riporta al cammino che è doverosamente da percorrere verso la santità, così che la nostra Chiesa non sia soltanto “santa” per se stessa, ma anche “Chiesa di santi” per il nostro sincero impegno alla santità.
Chiesa della santità
E così siamo giunti ad un nuovo capitolo della nostra riflessione, quasi a dire che la santità è di casa nella Chiesa, di cui siamo partecipi non come “ospiti e pellegrini, ma come concittadini dei santi”.
La santità è parte essenziale del nostro essere Chiesa e dell’essere Chiesa in questo mondo a rischio di peccato, ma anche destinato alla redenzione, anzi alla santità.
Santità è una parola “astratta”, ma solo apparentemente.
Dopo quello che abbiamo cercato di dire, utilizzando l’aggettivo “santa” attribuito alla Chiesa, e reso sostantivo nella parola “santi” con tutta la gamma di significati che essa può assumere, la parola santità può essere letta in una grande concretezza.
È questo il senso che le dà il Papa nel sempre citato documento pastorale per il nuovo millennio: è illuminante infatti questa pagina che vi ripropongo quasi integralmente “Porre la programmazione pastorale nel segno della santità è una scelta gravida di conseguenze. Significa esprimere la convinzione che, se il Battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale. Chiedere a un catecumeno: «Vuoi ricevere il Battesimo?» significa al tempo stesso chiedergli: «Vuoi diventare santo?» Significa porre sulla sua strada il radicalismo del discorso della Montagna: «Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste (MT 5,48).
Come il Concilio stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione non va equivocato, come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni geni della santità. Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno. Ringrazio il Signore che mi ha concesso di beatificare e canonizzare, in questi anni,tanti cristiani, e tra loro molti laici che si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita. È ora di riproporre a tutti con convinzione questa «misura alta» della vita cristiana ordinaria . (N.M.I n.30-31).
È un’espressione quest’ultima che ho già citato. Ma qui arriva alla sua piena concretezza.
Parlare di una “chiesa della santità” significa dunque dare a questa parola “astratta” la finalità concreta, e dire quasi, pratica di un atteggiamento normale di vita e di comportamento.
Questo ci insegnano i nostri santi, amici e compagni di viaggio, modelli ed esempi che ci trascinano.
La santità non è un’astrazione, né un progetto campato per aria.
La santità, che è di casa nella Chiesa, sono vite vissute nella carne di uomini e donne che hanno avuto (e hanno tuttora) il coraggio di affrontare quest’”avventura”.
La santità cammina sulla gambe della gente che forma la “Chiesa santa”.
E ci viene da dire anche a questo proposito “Ti ringrazio, Padre, Signore del Cielo e della terra che hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai semplici” (Mt, 11,25).
I semplici, i piccoli e i poveri sono “beati” perché di essi “è il Regno” cioè la santità di Dio incarnata nella loro vita, come avvenne per Maria, “la serva del Signore” in cui si è compiuta- nel suo ventre verginale- l’incarnazione della santità.
Le litanie dei santi.
E ora sulle orme di Maria la Tuttasanta, ritorniamo ai santi:la nostra Chiesa, infatti, è la Chiesa dei santi.
Quando nelle grandi occasioni della vita della Chiesa (i solenni pellegrinaggi, le sacre ordinazioni) si cantano le litanie dei santi , quell’ossessivo ritornello “prega per noi!” “pregate per noi” è come l’eco ripetuta all’infinito della più umile delle preghiere, quella rivolta a Maria: “prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte”.
Abbiamo bisogno delle preghiere di Maria, delle preghiere dei santi: gli apostoli, i martiri, i confessori della fede, le vergini.
Abbiamo bisogno delle loro preghiere per restare nella loro compagnia, tra le loro schiere, nella loro grande famiglia.
Di cui è Madre, Maria.
Dietro a Lei, sui percorsi dei suoi santuari (luoghi di santità come il nostro a Crea o quello, più discreto e nascosto della Madonna del Pozzo) noi percorriamo, nella nostra fragilità di uomini e donne segnati dal peccato, le vie di una santità che è quella di tutta la Chiesa, nella “comunione dei santi” di cui facciamo professione nel Credo.
È questa “Comunione” ineffabile e misteriosa, il fondamento di tutto ciò che abbiamo cercato di dire e continueremo a riflettere durante l’Anno Evasiano.
La “Comunione dei santi” è,oggi, la nostra appartenenza ad un mistero che ci sovrasta, ci trascende e ci trascina.
Non ci sono i santi nel cielo, i nostri morti nella vita eterna e noi qui ad arrancare nel quotidiano di un’esistenza spesso difficile, talvolta distratta e svogliata.
C’è una sola realtà, un solo mistero: la Comunione dei santi.
Cito ancora per concludere una parola forte di Bernanos nel suo “Diario di un curato di campagna”. Dice così “È che non c’è un regno dei viventi e un regno dei morti, non c’è che il Regno di Dio e che noi, viventi o morti, vi siamo dentro”.
Credo la Comunione dei santi!

+ Germano Vescovo


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