LA NOSTRA CHIESA IN MEZZO ALLA CITTÀ

Carissimi fratelli e amici,
si è aperto per me il decimo anno di presenza pastorale fra voi.
E vedo con profonda commozione che ci stiamo collocando davanti ad un Triennio davvero singolare.
Il 4 gennaio 2007 saranno Novecento anni (nove secoli) dalla consacrazione del nostro Duomo, già allora dedicato al Patrono Sant’Evasio.
Fu il Papa Pasquale II che onorò i nostri padri con la sua presenza: fatto di altissimo significato storico, artistico, civile ed ecclesiale.
Un piccolo Borgo, come doveva essere allora la nostra città di Casale si era dotato, orgogliosamente, di un grandioso tempio dedicato al suo Santo Patrono. E nientemeno che il Papa venne a consacrarlo.
Un avvenimento così importante e decisivo per la nostra storia dovrà essere da noi ripensato e rivissuto con giusto orgoglio civile e religioso.
Non sono molte le Cattedrali d’Europa che possono vantare nove secoli di ininterrotta presenza nella città e nel territorio.
Dobbiamo giustamente andare fieri del nostro Duomo, della sua antichità e della sua straordinaria forma artistica di cui il possente Nartece è come il simbolo pietrificato.
Perciò non vi sembri strano che il vostro vescovo desideri preparare con voi il Nono Centenario del Duomo con un Triduo di anni preparatori.
Per sottolineare certo il fatto storico in sé, ma anche per approfondirne il significato e rilevarne la forza profetica per il futuro.
Ecco il senso di questa Lettera che indirizzo a tutti i casalesi della città e della Diocesi, come primo messaggio e annuncio del grande avvenimento e come traccia di impegno per il Triennio 2004-2007..
Il fatto
L’avvenimento a cui ci prepariamo è di per sé un fatto storico.
Nove secoli di storia sono seguiti da quella data, 4 gennaio 1107.
E anche questi nove secoli sono un fatto.
Un fatto incancellabile che è la storia della nostra Chiesa mescolata alla storia della nostra città e del nostro territorio.
Il fatto dunque è questo: la chiesa casalese è oggi erede di una storia che l’ha vista protagonista in questi nove secoli da quando il suo Duomo, dedicato al Santo patrono, è sorto come un fiore nel cuore della città.
E ne ha costituito il centro, non solo ideale, ma anche concreto e palpabile in una struttura urbanistica ancora oggi leggibile: si può infatti affermare che la città è nata, si è sviluppata e cresciuta e si è strutturata attorno a questo perno centrale che è il suo Duomo, segno non equivoco di una presenza dinamica e coinvolgente.
Questo, mi pare, essere il fatto a cui il Nono centenario nel 2007, fra tre anni, ci richiamerà in modo non equivoco.
Un fatto che, se è iscritto nell’urbanistica della città, lo è altrettanto nella sua storia.
Basterà ricordare le vicende medievali che culminarono nel 1215 con l’assedio e l’incendio della città e l’insulto al Duomo con la forzata traslazione delle reliquie del Santo.
E basterà riprendere quanto s’è detto nel recente “Anno Evasiano” circa il significato del ritorno glorioso in città delle Reliquie nel 1403.
E poi via, via, mentre la città si trasformava in capitale del Marchesato e sorgevano nuove chiese, anche grandiose come il nostro San Domenico, la nostra terra diventava Diocesi (1474), trasformando il vecchio Duomo in Cattedrale.
Il crescere della potenza civile e militare e il fiorire di splendidi palazzi signorili e marchionali nel concentrico cittadino, non hanno fatto altro che potenziare la centralità del Duomo a cui la comunità casalese volle nel ‘700 aggiungere lo splendido e scenografico capolavoro che è la Cappella di Sant’Evasio, ribadito come patrono non solo della Chiesa, ma di tutta la città.
Vennero ancora i due grandi restauri strutturali: quello del 1860 e quello del 2000, ambedue recepiti nella storia cittadina come segnali di una profonda adesione alle vicende del Duomo come ad una casa di famiglia a cui tutti i casalesi sentono di appartenere.
Il fatto dunque è questo e non dovremo mancare di interpretarlo in questo Triennio che ci separa dall’avvenimento del Nono Centenario.
Il Significato
Occorre, infatti, non limitarsi alla constatazione del fatto: occorre approfondirne il significato.
Ed è quello che faremo seguendo il titolo di questa mia lettera pastorale introduttiva del Triennio.
Abbiamo scelto infatti questo titolo allusivo: “La nostra Chiesa in mezzo alla città”.
È questa la linea interpretativa dell’avvenimento che ci accingiamo a celebrare.
Le due parole “chiesa” e città” sono qui usate in un doppio significato che merita di essere reso evidente.
Quando, di fronte al centenario del Duomo, parliamo della “nostra chiesa” istintivamente e immediatamente ci riferiamo proprio a questa chiesa d’antiche e gloriose pietre, che sta nel cuore urbanistico della città.
Ma ognuno intende che l’espressione ha pure un significato traslato che va oltre le belle pietre del Duomo . “La nostra Chiesa” è in effetti quella comunità di credenti, uomini e donne che, con il vescovo successore degli apostoli, costituiscono le “pietre vive” di una realtà vivente e palpitante, non solo nella sua dimensione passata, ma nella sua presenza di attualità “nel mondo che cambia”.
La “nostra chiesa” siamo dunque tutti noi cristiani casalesi che, come il nostro Duomo, viviamo nel cuore della città.
E allora ecco anche il significato traslato di “città”.
Essa, indubbiamente, parte dalla considerazione di questa città, nata e cresciuta attorno al suo Duomo.
Ma nella letteratura corrente “città” significa ogni territorio dove uomini, donne, famiglie, istituzioni, vivono, esprimendo un tessuto civico e politico.
Così, quando diciamo che la nostra chiesa vive “nel cuore della città”, intendiamo dare a questa espressione una significazione traslata.
La nostra Chiesa vive nel cuore della gente casalese e monferrina, vive accanto alle sue famiglie, nel cuore delle sue istituzioni, dentro il flusso della vita quotidiana, feriale e festiva, del lavoro, del progresso, della cultura, della civiltà di questa terra.
Non siamo estranei o forestieri, siamo concittadini.
Come si esprimeva, fin dai primi decenni cristiani, un anonimo autore nella “Lettera a Diogneto”: I cristiani non abitano in città proprie né parlano un linguaggio inusitato; la vita che conducono non ha nulla di strano. Abitando nelle città greche e barbare, come a ciascuno è toccato, uniformandosi alle usanze locali per quanto concerne l’abbigliamento, il vitto e il resto della vita quotidiana, mostrano il carattere mirabile e straordinario, a detta di tutti, del loro sistema di vita. Abitano nella propria patria, ma come stranieri, partecipano a tutto come cittadini, e tutto sopportano come forestieri, ogni terra straniera è la loro patria e ogni patria è terra straniera. Si sposano come tutti, generano figli, ma non espongono i neonati. Hanno in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite , e con la loro vita superano le leggi Insomma, per dirla in breve, i cristiani svolgono la stessa funzione dell’anima nel corpo.
Questo dunque vogliamo che sia il significato del nostro nuovo centenario: una riproposizione della autenticità di una presenza della “nostra chiesa” nel cuore della gente, nel vivo della “città dell’uomo”. Certo nella città di Casale,anzitutto e sensibilmente, ma ben oltre: nelle piccole e grandi comunità disseminate dalla pianura irrigua lungo il Po, alle colline di un Monferrato che è la nostra patria.
La profezia
E seguendo questa interpretazione del fatto nasce anche l’urgenza della profezia.
Occorre, ancorati al passato, guardare al futuro.
Il futuro della nostra Chiesa, nel cuore della città, che cosa vorrà significare?
Su quali traguardi ci vorrà vedere? Con quali strategie ci vorrà impegnare?
Ecco, così intendo l’appello alla profezia.
“Nel mondo che cambia” e “all’inizio di un nuovo millennio” la nostra chiesa deve interrogarsi sul suo ruolo profetico.
Non possiamo adagiarci solo sugli allori della storia. Dobbiamo impegnarci per i futuro della nostra gente, per il domani dei nostri giovani e delle nostre famiglie, per le prospettive di progresso a cui i tempi ci sollecitano, perché questo territorio continua ad essere una patria comune.
Impegnarci, dunque. Questa è la parola profetica.
Non possiamo chiamarci fuori, perché di questa terra, di questa città dell’uomo, siamo concittadini e dunque corresponsabili.
Certo, con la nostra specificità religiosa, con il nostro carisma cristiano, con la nostra originalità ecclesiale.
Ma impegnarci, sì. Senza equivoci di neo-temporalismo, ma anche senza facili e magari appaganti e sdegnosi disimpegni.
La nostra terra e la nostra città, cioè la città dell’uomo cresciuta attorno e dentro la Chiesa, ha ancora bisogno di noi e della nostra profezia.
Ne ha bisogno perché, parliamoci chiaro, il tema della difesa della vita in ogni momento del suo svilupparsi dal concepimento alla morte, non trova facilmente promotori fuori dalla severa e ferma dottrina della Chiesa.
E così i temi della pace, della socialità, dell’educazione di nuove generazioni, della solidarietà, della cultura non omologata, ma liberante, sono temi che ci interpellano e sui quali dobbiamo sentire la responsabilità di un servizio disinteressato all’uomo e al suo destino.
Il Simbolo
C’è un simbolo che può ben definire questo complesso, ma affascinante rapporto fra la chiesa e la città: è proprio il nostro grandioso e storico Nartece.
Il Card. Martini, regalandoci quella sua profonda riflessione sull’ “Atrio Ritrovato” nell’occasione della presentazione dei restauri del nostro Nartece, scriveva, tra le altre belle connotazioni, questa pagina che vi ripropongo a conclusione di questa lettera.

“Il Nartece esprime un momento della vita ecclesiale, cioè il dialogo continuo della Chiesa con la società. È un dialogo nel quale la Chiesa, come dice il Concilio Vaticano II fa sue le gioie e le speranze, le sofferenze e le tristezze della gente. Si pone in ascolto, recepisce le istanze, si sforza di confonderle.
Il Nartece significa anche le risposte di fede e gli orizzonti speranza che la Chiesa elabora per la società, immettendo in essa quei valori spirituali e morali di cui ha bisogno per orientarsi nel vivere quotidiano”. (Martini, l’Atrio Ritrovato- Ed. Interlinea- pg 17).
Verso il nono Centenario del Duomo, cammineremo così, a partire dall’”Atrio Ritrovato” per essere nella società di oggi e di domani la profezia di verità, di pace, di speranza.

+ Germano, Vescovo

Festa di Sant’Evasio 2004
per il Triennio Pastorale 2004-2007


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